Capitolo 1

1. Servo e padrone

Ognuno dei signori attorno a quel tavolo aveva il proprio paggio o un servitore o al più un coppiere. Lui era tutt’e tre in uno e se ne stava compostamente impettito dietro la scranna del suo padrone.

Guardò gli uomini intenti a banchettare a base di cosciotto d’agnello speziato, sformato d’anatra al vino rosso e arrosto di vitello in panna inacidita. Sei di loro erano di nobili natali, gli altri cinque invece appartenevano alla casta sacerdotale: i tre più grassi facevano parte della religione Maoru, l’individuo alto e secco apparteneva al servizio divino del Dio Batshi, ed il vecchio sdentato che schioccava la dentiera d’avorio credendo di non essere udito né scorto era un pastore della Dea Generatrice di Sventura.

Nobili e prelati erano tutti molto diversi tra loro; vestivano chi sontuoso e barocco, chi di semplice seta senza ornamenti, con il cappuccio abbandonato sulle spalle. Erano dissimili anche nel modo di servirsi il cibo e nell’accento strascicato con cui portavano avanti la conversazione. Nonostante le loro diversità l’insieme dava forma ad un agglomerato ordinario, pacchiano e noioso.

L’unico che stonava in quel consesso, facendo apparire gli altri come ridicoli fantocci agghindati di satin e velluti, era il suo padrone: Xewon Ventridys.

Lo chiamavano lo Stregone dei Veleni anche se lui, che era al suo servizio da quasi sei mesi, non gli aveva ancora visto maneggiare né polveri né ampolle.

Un servitore… In realtà era ben più di questo. Cucinava, serviva a tavola, portava missive, rassettava gli appartamenti, seguiva lo stregone ovunque questi andasse, anche in quelle serate mondane. Il conclave della Casa di Miseria, dove lui era cresciuto, sei mesi prima aveva giudicato che il ragazzo di nome Shyar, da tutti conosciuto con il soprannome di Seppia, fosse ormai troppo grande per rimanere con gli altri orfani. Shyar aveva fatto richiesta di diventare istitutore presso la Casa, aveva il dono dello studio e delle lettere oltre che dell’intelligenza, ma quelli avevano rifiutato la sua domanda, preferendo spedirlo a compiere quel lavoro che nessuno voleva, come punizione. Diventare il servitore di un uomo come lo Stregone dei Veleni lo avrebbe messo in riga, dicevano, e gli avrebbe insegnato il valore dell’obbedienza.

Nessuno era mai durato più di sei mesi nella casa di res Xewon Ventridys: c’era chi se n’era andato di propria iniziativa, chi era stato scacciato con violenza, e chi al contrario era sparito senza dar più notizia di sé. Lo stregone pagava profumatamente la Casa per avere un servitore adeguato, pertanto lui avrebbe dovuto ubbidire senza indugi od il conclave gli avrebbe cavato la pelle di dosso.

Erano trascorsi cinque mesi e mezzo da quando Shyar aveva preso servizio, nonostante il lavoro occupasse le sue intere giornate nel palazzo dello stregone, nonostante il carattere di questi, capriccioso, dispotico e a tratti violento, e nonostante il lugubre labirinto che era la sua casa, Shyar si impegnava sodo e non aveva alcuna intenzione di andarsene.

I commensali stavano assaltando l’anatra, discutendo di importanti questioni di successione e titoli, discorsi che avevano bisogno di essere annaffiati dal vino.

Da sopra la spalla, res Ventridys gli fece un cenno, Shyar si avvicinò con il boccale di idromele, lo stregone non beveva mai vino, e si accinse a versarlo nel suo calice. Forse fu solo distrazione o la sfortuna, ma una goccia scivolò dalla caraffa macchiando la tovaglia bianca.

Sgranò gli occhi dandosi dello stolto, avrebbe pagato per una simile negligenza.

Tuttavia Lui, se anche aveva notato la sua sbadataggine, non lo diede a vedere. Brindò al buon augurio di lord Klida, l’uomo dai fluenti capelli grigi a capotavola, ed alla sua giovane figlia che sarebbe presto andata in sposa a lord Baton, sulla sinistra, molto più ricco nonché vecchio abbastanza da essere il nonno della ragazza. Il suo sorriso largo fu enigmatico e affascinante, come sempre, i suoi occhi grigi punsero i commensali con il loro sguardo irriverente, i suoi gesti furono impeccabili ed eleganti, più aristocratici della stessa nobiltà di lord Klida, lord Baton e di tutti gli altri alti dignitari messi assieme.

Xewon Ventridys era un uomo dai modi ineccepibili.

La cena si protrasse fin quasi alla mezzanotte. Quando gli ospiti si alzarono per dirigersi verso la stanza del fumo, lo stregone annunciò che non li avrebbe seguiti.

“I vostri intrugli vi reclamano, res?”, biascicò uno dei sacerdoti di Maoru con aria ebbra. Il compagno sulla destra gli diede una gomitata nelle costole con uno sguardo penetrante.

“I miei intrugli, come li chiamate voi, tengono in piedi il vostro tempio. Se non volete che le vostre fondamenta marciscano, i vostri muri si sbriciolino, ed i vostri colonnati crollino, fareste bene a lasciarmi fare il mio lavoro”.

“Nessuno vuole che nulla crolli, non è così?”, intervenne lord Klida per sdrammatizzare.

I tre sacerdoti di Maoru erano impalliditi.

***

Lasciarono la grande villa dai giardini illuminati ed il portico presidiato da picchieri in alta uniforme, una carrozza li attendeva sul selciato. Shyar aprì lo sportello per il suo signore facendosi da parte.

“Sali, Seppia”.

Il ragazzo fece un cenno al cocchiere ed entrò nel vano semibuio. La carrozza partì a balzelli.

Era raro che lo stregone lo facesse entrare in carrozza quando si spostavano.

“Voglio che tu vada al Nido a prendere una fanciulla”, disse senza preamboli.

Ecco dunque il motivo. Uno dei suoi compiti era quello di setacciare i bordelli di Città Verde in cerca delle bellezze migliori per lo stregone.

“Ne desiderate qualcuna in particolare?”.

“Non voglio un viso conosciuto questa notte. Portami una scura. Conosci i miei gusti ormai, quindi lascio a te la scelta”.

“Sarà fatto”.

Quando giunsero al Palazzo di Cenere, così come i cittadini chiamavano l’immensa dimora dello stregone, i cancelli si aprirono da soli, evento che lasciava sempre attoniti i cocchieri. Shyar precedette il suo padrone all’interno dell’atrio, lo aiutò a togliersi il mantello ed azionò i comandi per il bagno caldo nella stanza del corridoio superiore. Quindi chiese licenza e ripartì con la stessa carrozza, diretto al Nido.

A quell’ora di notte Città Verde era buia, ma quando raggiunse i quartieri di piacere li trovò brillanti, variopinti e vistosi come di consueto. Ordinò al cocchiere di aspettarlo e gli lanciò due monete tanto per assicurarsi che lo facesse, quindi entrò a passo veloce nell’arco di rose rampicanti del vialetto del Nido.

La cappa fumosa e profumata del vestibolo sgargiante gli diede fastidio alla testa, ma non vi badò. Non lanciò neppure uno sguardo alle fanciulle che l’additarono piacevolmente sorprese.

“Scegli me, giovane straniero… La tua bellezza mi ha rubato il cuore. Farò qualsiasi cosa per compiacerti”.

Una ragazza con due seni piccoli e duri gli si aggrappò al braccio fissandolo dal basso con occhi lucenti, “Le tue labbra sembrano più morbide delle mie, mi concedi un bacio, nobile signore?”.

“Non sono nobile, e non sono un signore”, le rispose, “Mi vuoi ancora?”.

Lei ci pensò sopra un istante, “A te mi darei senza compenso per un intero mese”.

Shyar ne dubitava, ma apprezzò quel complimento con un sorriso sincero.

“Non è qui per sé, ma per il suo padrone”.

Shyar si volse in direzione della proprietaria del Nido, Juria Netilys.

“La mia signora ha ragione”.

“È da molto che il tuo padrone non si serve qui, come posso compiacerlo?”.

“Devo scegliere una bellezza scura”.

Trovò una ragazza che faceva al caso suo, lunga, flessuosa, dalle cosce morbide ed i seni prominenti. Aveva un viso rotondo, riccioli neri e labbra a forma di cuore. Pagò in anticipo la somma pattuita e portò via la ragazza ammantata dal proprio tabarro di velluto nero. Lui vestiva sempre di nero, poiché neri erano gli abiti che il suo padrone gli aveva fatto avere.

Quando giunsero al Palazzo di Cenere la giovane sembrava spaventata. Non poteva avere più di quindici anni. Shyar la prese per mano.

“È la prima volta che vieni qui, ma le altre che ci sono già state, non ti hanno raccontato nulla?”.

Mentre salivano le scale immerse nel buio, con le statue animalesche sulla sommità che protendevano le fauci, lei gli si strinse contro.

“Dicono… Che res Ventridys è un uomo molto bello e…”, evitò una colonnina di alabastro sopra la quale un bulbo blu vorticava come una polla di luce tempestosa, “e che è un grande amatore”.

“Le tue amiche dicono la verità” la rassicurò, “Non spaventarti di questo luogo; anch’io i primi giorni lo temevo, ma non vi sono pericoli nascosti, te lo assicuro”.

La giovane lo fissò grata e gli fece un pallido sorriso.

“Voi siete bello quanto gentile, ser…?”.

“Chiamami Seppia”.

“Che nome è?”.

Avevano raggiunto il grande corridoio con le statue grottesche, in fondo al quale due bracieri a forma piramidale bruciavano senza fuoco.

“Siamo arrivati. Entrerai da sola. Io verrò tra poco a portare un vassoio di bevande, quale vino preferisci?”.

“Quello caldo, al miele, con i chiodi di garofano e l’aroma di rosa”.

Lui le aprì la porta e le fece un breve inchino.

“Buona nottata”.

***

Preparò le bevande con più perizia del solito, perché quella ragazza gli piaceva. Le raccolse su un vassoio d’argento e risalì al piano superiore facendo attenzione a non versare neppure una goccia. Quando attraversò il corridoio degli appartamenti del suo signore, tuttavia, si fermò in mezzo ai bracieri magici, fissando la porta borchiata. Questo era il momento più difficile per lui.

Si fece forza e aprì l’uscio, facendo attenzione a non disturbare. Le stanze del res erano quattro ampie sale disposte a cerchio: la prima, sulla destra, era il soggiorno privato, l’ultima a sinistra la stanza per ricevere gli ospiti, Shyar si avviò a destra. Attraversò il soggiorno e proseguì nella stanza successiva scostando i sottili tendaggi neri e viola.

L’immenso letto dalla foggia stranissima occupava quasi un’intera parete. Il camino a forma di fauci di gheor ardeva spandendo calore e dalla mensola soprastante le statuette d’argento vivo luccicavano nel loro perenne movimento liquido. Il ragazzo si accostò al tavolino di legno poco distante dal letto e posò il vassoio senza un solo tintinnio, cercando di non prestare attenzione agli ansiti ed ai sussurri dei corpi che si contorcevano nelle lenzuola a pochi passi da lui. Si ritirò oltre il tendaggio velocemente, quasi fuggendo. Ma poi, invece di tornare all’atrio e uscire, rimase nascosto dal drappeggio.

Non l’aveva mai fatto, rubando brandelli d’immagini solo mentre posava le vivande e andandosene subito dopo. Ultimamente però era sempre più intraprendente. Inoltre quello era l’unico momento in cui poteva… Poteva…

Il suo sguardo non fissò la ragazza nuda che si animava come un serpente sulle lenzuola nere, le gambe allargate e le braccia sopra il capo, affondate nei cuscini. I suoi occhi si cibavano della schiena ampia che la sovrastava e della massa di capelli color platino, quasi argentati, che rilucevano nell’oscurità della stanza come se possedessero una vita spettrale.

Shyar rimase a guardare il suo padrone mentre penetrava con movenze sensuali la ragazza, le grandi mani sui seni di lei, i glutei forti contratti ad ogni spinta del bacino.

Un calore vergognoso, quel calore che sempre più spesso ormai sperimentava, gli avvinghiò le viscere e gli seccò la bocca. Le sue membra presero a tremare quando l’uomo si abbassò a morderle piano il collo, facendola annaspare in gemiti di delizia, poi la sollevò di colpo quasi senza sforzo, obbligandola a sedere sul proprio inguine, muovendola su e giù sul membro.

Shyar lasciò la stanza non potendo sopportare altro. Quando fu oltre la porta, oltre i bracieri ed il corridoio, si aggrappò alla ringhiera delle scale con il fiato corto, il sesso premuto contro i pantaloni, e un groppo doloroso alla base della gola.

***

Poco prima dell’alba riaccompagnò la ragazza al Nido e tornò al Palazzo di Cenere con le prime luci del sole.

Trovò res Ventridys nella terza stanza, il suo studio privato, intento a leggere alcune pergamene delle quali aveva appena strappato il sigillo.

“Ho riportato la giovane al Nido”.

“Chiamala con il suo nome, Seppia. Di solito quelle come lei sono puttane”.

Era di malumore e ciò presagiva solo cattive notizie.

“La ragazza non vi è piaciuta?”.

“La ragazza era perfetta”, sospirò lanciando lontane le carte. Indossava l’ampia sopravveste di velluto viola sul corpo nudo. Il suo petto glabro era completamente visibile ed i capelli color platino, lunghi fino alla cintola, risaltavano in mezzo a tutti quei toni cupi.

“Avete altri ordini?”.

“Perché sei rimasto a guardare, Seppia?”.

Nonostante tutta la sua forza di volontà questa volta non riuscì a rimanere impassibile. Impallidì visibilmente, “Volevo imparare”, mentì.

“Vuoi dire che sei vergine? Alla Casa di Miseria non hai mai giaciuto con nessuna ragazza?”.

“No, mio signore”. Gli costò ammettere quella verità, come gli costò sostenere quello sguardo inflessibile.

“Mi sorprende. Un giovane di bell’aspetto come te e con la nomea di ribelle indisciplinato, avrebbe dovuto spassarsela in un luogo come quello”. Continuava a studiarlo attentamente, “Da quanto sei qui, Seppia?”.

“Cinque mesi e diciannove giorni”.

“In tutto questo tempo non mi hai dato grandi grattacapi, come mai?”.

“Forse non sono così insubordinato come il conclave sosteneva”.

“Vorresti farmi credere che hanno scambiato baldanza giovanile per pura riottosità? Io non credo”. Abbandonò lo scrittoio.

Shyar si costrinse a non mostrare nulla di ciò che quella vicinanza gli scatenava dentro. L’uomo sollevò il suo mento con la punta della piuma che usava per scrivere.

“…Occhi verde-opaco come melma, e riccioli neri. I colori dell’inchiostro”, mormorò squadrandolo fissamente. “Nessun nome poteva essere più indicato di Seppia”.

Solitamente non gli badava, lo aveva esaminato attentamente quando il conclave lo aveva mandato da lui, ma in seguito non gli aveva mai gettato che gelide occhiate. Era la prima volta che lo fissava per così tanto tempo, e da così vicino.

“Avete altri ordini?”, si sforzò di chiedere.

Un feroce manrovescio lo colse di sprovvista, gettandolo di lato.

“Questo è per la tua insolenza, Seppia. Il conclave non sbaglia mai”.

“Tutti sbagliano”.

Un altro colpo, più forte del precedente.

“Impertinente e imperituro nel rispondere a tono. Per certi versi invidiabile”.

Questa volta si morse la lingua, deglutendo il sangue che sentiva in bocca.

“Se ti piace tanto guardare, Seppia, la prossima volta faremo in modo di farti assistere, cosa ne dici?”.

Si augurò che stesse solo facendosi beffe di lui, perché un’agonia simile sarebbe stata insopportabile.

“Non ho altri ordini per oggi. Puoi andare a riposare”. Fece per tornare allo scrittoio quando si fermò.

“Un’ultima cosa”.

Caricò il colpo svogliatamente, eppure il dolore risultò lancinante. Shyar sentì il labbro spaccarsi ed il sangue prese a sgorgargli lungo il mento.

“Questo è per aver sporcato la tovaglia di lord Klida”.

***

I suoi compiti al Palazzo di Cenere erano chiari, doveva tenere pulite ed in ordine le stanze abitate dal res, doveva cucinare per lui, servirgli cibo e vivande a qualsiasi ora del giorno e della notte, e doveva rendersi sempre reperibile per commissioni improvvise o per accompagnarlo a banchetti e cerimonie. In cambio, riceveva vitto ed alloggio, ma nessuno stipendio. A qualcuno avrebbe potuto non andare bene, ma lui non protestava perché quell’uomo gli forniva qualcosa che nessun altro gli poteva dare: libri proibiti.

Non appena aveva un momento libero, Shyar lo trascorreva nel suo luogo favorito, uno stanzino nascosto dietro un pannello della biblioteca padronale dove il res gli aveva mostrato alcuni volumi di Rune Antiche. Non era infatti interessato alla magia, né alla stregoneria o all’alchimia, tutte specialità in cui, si diceva, lo Stregone Velenoso eccellesse e di cui quindi doveva avere un’ampia scelta di manuali. No, lui preferiva le rune, uno studio che era poco più dell’apprendimento di scritture e lingue perdute, ma che comunque era una materia che lo aveva affascinato fin da piccolissimo.

Il campanello suonò mentre era chino su un libro che mostrava il modo di disegnare sulla sabbia la parola cabalathi ovverosia catene. Shyar ripose il volume e raggiunse l’ingresso sotto lo scalone il più in fretta possibile. Lo stregone lo stava già aspettando e sembrava avere anche molta fretta.

“Seguimi, alla svelta. Ho bisogno del tuo aiuto e non ho tempo da perdere”, disse raccogliendo le falde dell’ampia sopravveste ed incamminandosi lungo il corridoio di sinistra, quello che portava alle stanze sotterranee.

Aveva esplorato il palazzo in lungo ed in largo, ma aveva spesso trovato battenti ermeticamente chiusi e passaggi inaccessibili. Ora attraversarono porte che lui non aveva mai veduto e raggiunsero profondità di cui non conosceva neppure l’esistenza. Gli usci, fossero di metallo, legno grezzo o borchiato, si spalancavano cigolanti al loro approssimarsi senza che l’uomo dovesse mettere mano alle maniglie.

Quando arrivarono in fondo, capì che quelli erano i suoi laboratori privati. In una prima camera Shyar vide centinaia di recipienti di vetro contenenti animali ed organi misteriosi, alcune erano mostruosità prive di forma apparente, immerse in liquidi verdastri o gialli. In un’altra stanza incapparono in decine di scaffali colmi di libri fuligginosi, le cui copertine si disintegravano al solo sfiorarli. In un’altra ancora, ampolle ed ampolline fumavano colori vividi come il rosso, l’arancio e l’azzurro, spandendo forti odori che pizzicavano al naso. Quando furono nella quarta camera, questa era completamente vuota.

“Mettiti al centro del pavimento”, ordinò il suo padrone.

Shyar fissò il suolo e sotto i piedi intravide un disegno più scuro delle pietre stesse, come l’ombra che rimaneva quando il fuoco bruciava la roccia. Ne sapeva abbastanza per riconoscere un circolo magico.

“Che stai aspettando?”.

“Avete intenzione di farmi sparire come alcuni dei miei predecessori prima di me?”.

Xewon ristette.

“Nessuno di loro è mai morto… Per mano mia”.

“Quindi cosa sto per affrontare? È un vostro esperimento, giusto?”.

L’uomo gli andò davanti, era così alto da sorpassarlo di due buone teste. In mano aveva un lungo coltello ricurvo.

“Questa è una lama rituale. Ti farò sanguinare. Se tu continuerai a ripetere sempre la stessa parola non ti accadrà nulla”.

“E se mi rifiutassi?”.

“Puoi farlo. Puoi anche tornare dal conclave per quello che mi concerne”.

Prepotente, tirannico ed egoista; lo stregone era tutto questo e molto altro ancora. Si guardò attorno per la stanza spoglia, immersa nell’oscurità se non per una lanterna ad olio che ardeva in un angolo del pavimento.

“Qual’è questa parola?”.

“Nesphiret”.

“Nesphiret?”.

Non appena pronunciò quelle sillabe il circolo sotto di lui si accese in un risucchio, esplodendo di luce. Shyar trasalì, fece per scansarsi, ma l’uomo, senza dare alcuna spiegazione, gli afferrò rudemente l’avambraccio sollevandolo in alto e strappandogli la manica della camicia.

Vide solo il baluginio della lama, poi sentì il dolore violento quando questa gli lacerò profondamente il polso.

Shyar crollò in ginocchio artigliandosi l’avambraccio, urlando mentre il suo sangue fiottava in spruzzi dappertutto.

“Ripeti!”.

“Nesphiret…!”, gracchiò.

Il suo padrone aveva abbandonato il cerchio, lasciandolo da solo in mezzo al circolo.

“Continua a ripeterlo!”.

“Nesphiret…”.

“Più forte!”.

“Nesphiret! Nesphiret! Nesphiret!!”.

Il dolore era accecante e la sensazione del sangue che schizzava orribile. I suoi abiti neri ne erano già lordi. Il pavimento vibrava mentre il disegno di luce cambiava posizione ed iniziava a roteare attorno a lui innalzandosi dal suolo e racchiudendolo in una sorta di fascio luminoso.

Poi la luce divenne fuoco.

Shyar continuò ad urlare la parola strizzando gli occhi e serrandosi il braccio fino a scalfirsi la pelle con le unghie, non riusciva a fermare il sangue. L’arteria recisa era come un tubo bruciante che pompava vita.

In quell’anarchia di fiamme, vento e dolore riusciva a malapena ad udire la propria voce sempre più flebile, le forze lo stavano abbandonando. Il sangue gli imbrattava l’intero viso e gocciolava dai suoi capelli: il turbine di luce e vampate lo portava in alto e lo faceva ricadere in una nube di goccioline purpuree.

Il suo braccio era bollente, la mano ghiacciata. La sua vita fluiva via con il suo sangue. Provò un’immensa paura, poi una sferzata di angoscia quando la sua coscienza si affievolì. Esausto, Shyar vacillò. Sussurrò ancora il nome, poi si accasciò su un fianco, colpendo il terreno.

La luce si spense.

***

Era debole come quando aveva avuto la grande febbre, a sette anni. Quando riaprì gli occhi tuttavia, non fu la camerata comune del dormitorio quella che vide, ma la stanza di Xewon Ventridys.

Era sdraiato nel letto a forma bombata; le due creature alate che di solito vigilavano sul sonno dello stregone lo fissavano ora da sopra la testata con i loro bulbi vuoti.

“Qual è il tuo vero nome, Seppia?”.

Cercò di mettere a fuoco la figura che si sedette al suo fianco sul letto.

“Il mio nome?”, gracidò scoprendo la gola riarsa. Gli fu offerto un boccale, dal quale bevve vino caldo che gli incendiò l’esofago.

“Shyar”, riuscì infine a pronunciare.

“Hai lavorato bene. Ti meriti due giorni di libertà per riprenderti e forse uno dei miei libri di rune. Scegli quello che preferisci, è tuo”.

“Grazie, mio signore”.

L’uomo si rialzò, lasciandolo con un senso di perdita.

“Io torno al mio scrittoio. Tu riposa ancora qui se vuoi, poi torna nelle tue stanze. Suonerò il campanello tra due giorni quando avrò bisogno di te”.

Shyar lo seguì con lo sguardo finché non scomparve nell’altra stanza.

Quante volte aveva sognato di essere in quel letto che lui stesso cambiava e puliva ogni giorno? Quante altre aveva immaginato di giacere tra le braccia del suo padrone? Ebbene, tra le sue braccia doveva esserci stato, perché non era più ai piani inferiori. Si diede dello sciocco. Era più probabile che avesse usato un incantesimo.

Quando aveva accettato l’incarico di diventare suo servitore aveva pensato che lo stregone non fosse altro che un ciarlatano più abile dei suoi simili; ma vivendo in quella villa dagli oggetti misteriosi, e assistendo a ciò a cui aveva assistito, aveva accettato ormai da tempo l’idea che quell’uomo fosse addirittura più potente di quanto la gente sospettasse e cianciasse.

Guardandosi Shyar si accorse di indossare abiti asciutti e puliti, persino lo strappo alla sua camicia era scomparso, come se non fosse mai stata stracciata. Sembrava che non fosse accaduto nulla. Altri incantesimi, altre stregonerie?

Eppure una fasciatura sul suo avambraccio c’era, quando lui la esaminò, la ferita gli parve poco più di un graffio.

***

Tornò nelle sue stanze caracollando rasente i muri. Quando arrivò fu con sollievo che si lasciò andare sul letto. Provò a mettere qualcosa sotto i denti, ma rigurgitò tutto, così si risolse a cenare con acqua e miele, e tornare a riposare. Si sentiva spossato, come se tutte le forze gli fossero sgusciate via dal corpo. Quanto aveva sanguinato? Ricordava gli spruzzi, il pavimento grondante, il disegno di luce che vorticava falciando il sangue. Strizzò gli occhi con un’imprecazione maledicendo il suo padrone per quel malessere disgustoso.

Quando si trascinò alla latrina orinò rosso e persino defecare fu una sofferenza immane. Davvero gli sarebbero bastati due giorni per riprendersi? L’unica soluzione sembrava dormire. Spense allora la lanterna e si raggomitolò sotto quattro delle spesse coperte di lana che teneva sempre a portata di mano, perché le pareti di pietra del Palazzo erano gelide e pregne d’umidità.

Pensava di piombare in un sonno profondo e risanatore, invece sognò tutta la notte.

Sogni d’acqua rosso sangue, di baci, carezze, e di pietre scarlatte.

***

“Come ti senti oggi?”.

“Meglio, mio signore”.

Xewon Ventridys era seduto al suo scrittoio, la finestra stranamente aperta sul tramonto; di solito teneva le imposte sigillate preferendo alla luce esterna quella della candela.

“Allora prendi queste missive e vai a consegnarle. Celermente. Prima di preparare la cena voglio che tu mi allestisca la stanza del bagno”.

Tanto valeva che lo infilzasse con un arpione e lo strattonasse per le viscere. Stava riprendendo le forze, vero, ma era ben lungi dal sentirsi bene.

Le missive erano quattro, per altrettanti bottegai di spezie e strumenti poco raccomandabili come gli ingredienti di veleni e pozioni, e arnesi arcani per compiere riti spirituali. Per sua fortuna Shyar trovò quasi subito una carrozza nelle vie antistanti il Palazzo, evitando così di fare tutta la strada a piedi: Città Verde era un centro dannatamente grande.

Le consegne lo occuparono per due ore intere, quando riuscì a tornare era già buio; Lui si sarebbe di certo adirato. Entrò di corsa e gettò le verdure sul tavolo della piccola cucina di servizio; le aveva acquistate nella zona dei mercati, dove aveva fatto una veloce tappa per rifornirsi. Salì la scala padronale saltando due gradini per volta e si diresse alla sala dei bagni, la prima porta a destra del corridoio. Quando entrò l’aria era già invasa di umidità e di profumo.

“Sei in ritardo. Ho dovuto prepararmi il bagno da solo”.

Shyar maledì la confusione del centro cittadino e la vecchia cavalla del cocchiere.

Lo stregone aveva le braccia appoggiate al bordo della vasca, un grande foro circolare incassato nel pavimento e servito da tubature antiche quanto il Palazzo. Dalla superficie si levavano spire di vapore. Teneva la testa adagiata all’indietro a mostrare la gola, i suoi capelli argentei si sparpagliavano così lungo il pavimento facendo risaltare il colorito del suo petto e del viso. Aveva infatti una carnagione scurissima, una sorta di tonalità bruno-cinerea che enfatizzava in modo inquietante il chiarore dei capelli e quello degli occhi. Quegli stessi occhi che ora si aprirono fissandolo con ostinazione.

“Vi chiedo perdono”.

“Non sarai perdonato, e lo sai. Perché dunque ti prendi la briga di chiedere scusa?”.

“Mi hanno insegnato che è buona educazione”.

L’uomo si sollevò scrosciando acqua, e uscì nudo dalla vasca.

“Sicché io invece sarei scortese, è a questo che pensi?”.

Shyar ebbe una breve visione di fasce muscolari sode e tendini duri prima che quel corpo svanisse in un drappeggio di tessuti asciutti.

“Non penso nulla del genere, mio signore”.

Lo stregone emise una breve risata. I suoi denti erano bianchi e perfetti, ma i canini che per uno strano gioco di forme e posizioni sembravano più lunghi e appuntiti degli altri, gli davano un’aria ferina.

“Certo, Seppia, certo. Chi mai oserebbe alludere simili cose in mia presenza?”.

Si era aspettato il solito schiaffo, invece l’uomo lo superò ed uscì dalla porta ancora fradicio e con i piedi nudi su quel pavimento che era il ghiaccio fattosi pietra.

“Che stai aspettando? Prepara la cena. Non ho intenzione di attendere anche per quella”.

***

Gli servì le pietanze nello studio, mentre l’uomo era ancora intento ad esaminare rotoli e pergamene, era un mistero come quelle lettere giungessero a lui senza che nessuno le recapitasse di persona.

Aveva cucinato un pasticcio di verdure cotte all’olio e formaggio, servite su fette di pane abbrustolite ed inondate di aceto dolce. Il suo padrone non amava la carne, che mangiava solo ai banchetti o alle cene, quando vi era costretto.

“Fai bollire dell’acqua e mettici questo in infusione”, comandò allungandogli distrattamente un sacchettino grigio.

Shyar fece come gli era stato ordinato e riportò l’infuso pochi minuti dopo, aveva un colore chiaro e un profumo a metà tra menta e vaniglia. Entrò nello studio, la seconda stanza da sinistra, ma non trovandovi il suo padrone proseguì nella successiva scostando i drappeggi neri.

Xewon era in piedi davanti alla finestra della camera da letto, una vetrata alta e stretta a sesto acuto, con un elaborato rilievo di animali demoniaci lungo l’intera cornice.

“Ho portato l’infuso”.

“Appoggialo sul mobile accanto al letto e poi aiutami a vestirmi”.

Non gli aveva mai chiesto aiuto per indossare abiti. Capì che questa era un’occasione speciale. Sotto la sopravveste verde scuro, l’uomo infatti era nudo. Fece fatica a nascondere il rossore di vergogna e quello dell’eccitazione.

Dovette avvolgere il suo padrone in un lunghissimo drappo rosso, girandogli attorno quattordici volte nel senso del cammino del sole. Successivamente, lo stregone lo fece inginocchiare a terra, prima davanti e poi dietro di sé, incidendo la stoffa scarlatta con un sottile stiletto. Infine gli indicò una benda nera piegata sul comò.

“Bendami e conducimi a letto”.

Le dita di Shyar tremarono quando si sollevò sulle punte per allacciargli la fascia dietro la nuca. Aveva il viso vicinissimo a quello di Lui. Per la prima volta percepì il calore di quel corpo scultoreo; non riuscì a trattenersi e quando ritirò le mani finse di impigliarsi nei capelli argentei, ancora umidi, per toccarli.

Nuove ondate di emozioni gli risalirono lungo l’avambraccio quando prese nella sua quella mano grandissima eppure affusolata, guidandolo a letto.

Lo stregone si sistemò contro i cuscini e attese che gli allungasse l’infuso.

“Ora puoi andare”.

Shyar raggiunse i lembi dei tendoni d’ingresso a ritroso, per poterlo continuare a guardare. Poi esitò.

“Ti ho detto di andartene, Seppia. E chiudi la porta”.

Aveva ormai raggiunto il corridoio quando un brivido lo indusse a voltarsi di scatto: da sotto la porta pesante che aveva appena richiuso tracimò un sibilo, poi un rantolo soffocato. Fumo verde, venefico, strisciò lungo la pietra, poi in un ansito il miasma venne risucchiato nuovamente sotto lo stipite, i bracieri affievolirono, ululati spaventosi riempirono la casa.

Shyar si allontanò velocemente e corse lungo le scale rifugiandosi nell’ala della servitù.

***

“Posso chiedervi una cosa, mio signore?”.

“No”.

Il diniego perentorio lo prese di sprovvista. Avrebbe dovuto aspettarselo: nessuno dei comportamenti di Xewon Ventridys era mai ovvio.

“Per quale ragione?”, insistette. Erano al secondo piano, in terrazza, con la luce arancio del tramonto che incendiava i tetti di Città Verde, lontana, oltre i giardini selvatici del Palazzo ed il cancello nero corroso di ruggine.

“Perché non vedo l’utilità di rispondere a domande che tu mi porgi”.

Voleva essere un insulto. Era di malumore sin da quando lo aveva chiamato con i campanelli, nel pomeriggio. Shyar aveva trovato la camera immersa in una cappa soffocante, ma non c’era alcuna traccia di fumi strani o di orride creature. In compenso, il drappo rosso in cui lo stregone si era fatto avvolgere era annerito e rovinato e le lenzuola sembravano madide del suo sudore.

“Siete pallido e disidratato”. Era vero, sembrava non smettere più di bere. “Mi chiedevo cosa fosse l’incantesimo che avete perpetrato stanotte”.

“Nulla che ti debba interessare”.

Gli aveva fatto trasportare in terrazza un divanetto dall’imbottitura sfondata, sul quale ora era sdraiato sorseggiando la coppa d’acqua fresca.

“Allora forse potreste dirmi a cosa vi sono servito l’altra notte…”.

Due schegge violette si calamitarono acide su di lui, che se ne stava in piedi accanto al divano. Gli occhi dello stregone erano incredibili e come la sua indole, sempre cangianti: potevano assorbire le sfumature del verde, dell’azzurro o del rosso, diventando da chiari a cupi e addirittura viola come in quel momento.

“Mi chiedevo…”, proseguì adesso incerto, “che cosa è successo nei sotterranei. Che stregoneria era mai quella, con il circolo sul pavimento e l’invocazione?”.

L’uomo continuava a fissarlo con quello sguardo terrificante, ma Shyar lo sostenne irremovibile, perché sapeva che se avesse ceduto adesso, l’avrebbe sempre fatto.

“Non ho alcuna intenzione di dare risposte ad un semplice servitore”, disse infine tornando a sorseggiare dalla coppa.

“Un servitore vi è bastato, però, quando vi serviva del sangue”, mormorò Shyar. Se ne pentì immediatamente. L’uomo si era alzato di scatto.

“Ripetilo. Ripeti ciò che hai detto, piccolo insolente!”.

Se non lo faceva si sarebbe adirato ancora di più, “Ho detto che vi sono bastato quando avete usato il mio sangue”.

Il colpo non fu un semplice schiaffo questa volta, ma un manrovescio brutale, quasi un pugno, che lo scagliò contro la ringhiera pericolante. Shyar udì un fischio acuto nelle orecchie, il naso prese a sanguinargli ed anche la bocca, che si era spaccata contro i denti.

“Alzati in piedi!”.

Ubbidì di nuovo ed aspettò il secondo colpo. Questo lo centrò in pieno viso dalla parte opposta, scaraventandolo contro il divano. Shyar si accasciò al suolo e non riuscì più a risollevarsi.

“Un’altra parola sui miei incantesimi o solo un bisbiglio, a me o a chiunque altro, e ti chiuderò la bocca per sempre! Ci siamo intesi?”.

“…pito”.

“CI SIAMO INTESI?”.

“Ho capito!”.

***

Il Palazzo di Cenere era ampio quanto tre delle più grandi ville signorili di Città Verde, labirintico quanto un formicaio nato da dieci punti d’accesso diversi. Corridoi solenni come navate, androni dalle finestre istoriate, scalinate con ringhiere di ferro battuto e legno verniciato, si ripetevano all’infinito in fogge e dimensioni molteplici. Tutto era smisurato ed inesorabilmente lasciato all’abbandono. Il legno era pieno di tarli e si sbriciolava, le finestre risultavano oscurate dalla marcescenza e dal sudiciume degli anni, le pareti di pietra erano fredde e nude, ricoperte di sottili strati di muschio e muffe. Ogni oggetto era impregnato di terra e di polvere, e ovunque vigilavano gli occhi di strane statue senza nome e senza volto con i corpi contorti e gli artigli bestiali. Fossero piccole come il palmo di una mano o grandi quanto un’intera parete, le sculture dominavano ogni sala ed ogni anfratto, incupendo ancor di più l’aspetto del Palazzo e dei suoi giardini. Persino nel parco infatti, una sorta d’ingarbugliata foresta dagli alberi ultracentenari, sculture e bassorilievi ornavano chioschi scuriti dal tempo e fontane intasate di erbacce.

Shyar teneva pulito solo l’ingresso, la cucina con le proprie stanze attigue e gli appartamenti di Xewon Ventridys.

Passò lo straccio sul corrimano della scalinata d’ingresso e con una smorfia si massaggiò la schiena dove aveva sbattuto contro il divano. Era quasi ora di pranzo, ma lo stregone lo aveva avvertito che avrebbe lavorato fino a sera nei suoi laboratori sotterranei. Si cucinò allora una piccola porzione di stufato di coniglio, poco insaporito di spezie e quasi senza sale come piaceva a lui e si diresse alla biblioteca ed alla sua stanza nascosta.

Trascorse tutto il pomeriggio a leggere, imparando la bellezza di ben dieci nuovi simboli runici con tutte le loro varianti di rappresentazione e significato.

Poco più tardi, quando il campanello suonò, si era già occupato della cena del suo padrone. Questi lo aspettava nelle proprie stanze, doveva avere un passaggio segreto che dal piano superiore scendeva direttamente ai laboratori. Sembrava stanco.

“Hai già portato la cena? Ottimo”, disse facendo spazio sullo scrittoio.

Shyar attese compostamente alle sue spalle mentre l’uomo cenava. Il suo modo di fare era ammirevole tanto in pubblico quanto in privato, con movimenti spicci ma mai ingordi, e il modo di masticare e deglutire sbrigativo senza risultare vorace. Sembrava sempre mangiare per dovere, mai per piacere, anche se lo puniva quando un piatto non era di suo gradimento.

Shyar attese finché non ebbe finito, poi fece un passo avanti. Aveva ancora il viso livido per i colpi di due sere prima, ma a parte questo aveva cercato di presentarsi impeccabile nella divisa che il suo padrone lo costringeva ad indossare. Portava una camicia pulita e appena stirata, il velluto nero che ricadeva in sbuffi pesanti attorno agli avambracci dove la stoffa gli stringeva i bicipiti fino al polsi. Si era stretto il colletto inamidato fin sotto il mento e aveva scelto i pantaloni meno usati. Aveva persino dato nuovo colore agli stivali scamosciati, alti fino al ginocchio, dove aveva infilato le brache lasciando voluminose pieghettature. Shyar teneva sempre i capelli legati con un nastro scuro ma quelli ai lati, troppo corti, gli sfuggivano lungo gli zigomi fino al collo.

Xewon Ventridys gli prestò attenzione, e lui fu sicuro che prese nota dell’abbigliamento.

“Cosa vuoi?”, l’apostrofò infatti.

“È ancora valida la proposta del libro di rune che mi avete concesso qualche sera fa?”.

Sollevò un sopracciglio, “Non l’hai ancora scelto?”.

“No”.

“E cosa stai aspettando?”.

“Vorrei poter sceglierne uno dagli scaffali che ho visto nel sotterraneo”.

L’uomo si alzò e Shyar strinse le mascelle voltando il viso di tre quarti in attesa dello schiaffo. Ma questo non giunse.

“Perché vuoi uno dei libri di sotto?”.

“Sembrano antichi… E quindi più preziosi. Vorrei sceglierne uno importante, magari ricopiarlo, per evitare che vada perduto”.

L’uomo lo fissò a lungo; “Preparami il bagno. Se ne avrò voglia più tardi ti accompagnerò nel sotterraneo”.

***

Ripercorsero la serie di passaggi dell’altra volta. Shyar teneva alta la lucerna mentre lo stregone lo precedeva con soltanto la veste da bagno indosso, ancora fradicio e a piedi nudi. Possibile che non avesse mai freddo?

Quando raggiunsero la serie di scaffali, comprese che c’erano molti più libri di quelli che aveva notato la volta precedente. Si girò attorno con la luce protesa senza sapere da dove iniziare.

“Ce ne sono così tanti…”.

“Sbrigati”.

Cominciò dallo scaffale più vicino, i volumi sembravano diversissimi l’uno dall’altro, per forma colore e materiale, ma il tempo li aveva resi tutti consunti e lisi. La maggior parte dei titoli era ormai illeggibile, di alcuni erano rimaste soltanto ammassi di fogli stropicciati.

“Seppia, ho voglia di andare a dormire”.

Non riusciva neppure a decifrare le copertine, come poteva trovare libri di rune?

Con un sibilo infastidito, Xewon protese una mano “E va bene, scansati”.

Si mise al centro degli scaffali e giunse le dita davanti al viso incrociandole due per due. Mormorò una parola, e folate di polvere si levarono da ogni angolo della stanza mentre almeno una dozzina di libri scivolò fuori dalla sua postazione e precipitò a terra con un tonfo.

“Raccoglili e portateli di sopra. Domani sceglierai quello che desideri”.

Shyar rimase un momento impalato, impressionato da quel portento. Poi si affrettò a raccattare i tomi mezzo sventrati: quella sera aveva sfidato più volte la fortuna, meglio non approfittarne troppo.

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8 thoughts on “Capitolo 1

  1. ciao! volevo dirti che il tuo libro è bellissimo e che ovviamente l’ho comprato e riletto 5/6 volte, e ogni volta che lo leggo sembra la prima. mi piace davvero tanto e ogni volta che raggiungo l’ultima frase dell’ultimo capitolo guardo le 2 pagine vuote che ne seguono e penso * no aspetta… e il seguito dov’è? * mi hai lasciato col fiato in gola e davvero non sono MAI stata così curiosa di sapere come va avanti un libro. è come la suspance che c’è tra un capitolo e un’altro di una fanfict e tu non vedi l’ora che l’autore pubblichi il prossimo capitolo già smaniando quello dopo ancora. non vedo l’ora che il secondo libro esca, e quindi ti chiedo.. quando esce? non farci aspettare troppo perfavore!
    concludo chiedendoti quando uscirà il tuo secondo libro * la crocie di vetro* che ho intenzione di comprare non appena lo pubblicherai. ti faccio davvero tanti complimenti.
    ciao!

  2. ho letto solo i capitoli che hai messo qua sopra ma ho già ordinato il libro con ibs e non vedo l’ora di averlo tra le mani. ho letto un sacco di libri di diverso genere e posso assicurare che questo, sia per la storia che per il modo in cui viene narrata, entrerà nella mia lista privata dei libri migliori. era da un bel po’ che non riuscivo a trovare un libro così ben fatto e sto’ letteralmente impazzendo dalla voglia di leggerlo. nel frattepo mi accontenterò di rileggere 10000 volte i primi 7 capitoli. moltissime grazie per aver scritto un libro così fantastico

  3. stupendo .. capitolo ora leggo gli altri… e in settimana corro a prendere il libro.. non vedo l ora..non so proprio come ringraziarti per aver scritto questo libro era ora che qualcuno unisse il fantasi e lo yaoi … graziee ancoraaaa

  4. Ho preso il libro finalmente! Non ci posso ancora credere di averlo qui, davanti ai miei occhi e di poter finalmente leggere il resto dei capitoli.
    Hai fatto un lavoro eccellente *__*

  5. Ho agognato questo libro tanto quanto Shyar agognava lo stregone dei veleni ogni santa notte XD
    Sono impazzita per trovarlo, ma finalmente ce l’ho qui, proprio qui, davanti a me che praticamente me lo son preso ieri dalla libreria e già stanotte l’avevo finito! *-*
    (Non so quante volte i miei genitori mi hanno ripetuto: “Spegni quella luce! Te lo leggi domani il tuo diamine di libro! Facci dormire!” e cose così XD).
    Ma non ce la facevo! Ogni pagina che leggevo mi spingeva a leggerne un’altra e in un men che non si dica ero già alla pagina dei ringraziamenti piena di lacrime.
    Poi, dopo aver impiegato un pò a capire che il libro era finito, ho fatto mente locale e mi son detta: “E’ finito? Di già?! Ma io voglio sapere come continua!!!” e son caduta in depressione!
    E penso di rimanerci finchè non esce il seguito, mi son imposta U.U
    Finendo di blaterare, trovo davvero che il tuo stile sia magnifico e la storia autentica, originale e meravigliosa, a dir poco.
    Pensa che alcune scene cruente me le son lette (e io non son tipo da leggerle), quella dell’incantesimo del capitolo 6 l’ho addirittura saltata (perdonami, ma il mio fegato non resisteva XD), ma il tuo libro è rimasto in cima ai miei preferiti.
    Ovviamente non vedo l’ora di leggere il seguito, ma non ti dirò “sbrigati, per favore, che voglio vedere come va a finire!”. Essendo anch’io una che scrive (logicamente non ai tuoi livelli, s’intende >.<") ed avendo anch'io pochissimi lettori, posso capire: ogni volta mi chiedono di sbrigarmi, ma io in questo periodo non ho davvero l'ispirazione giusta, quindi finisco solo per combinare pasticci.
    Sarei una bugiarda a dirti che non vorrei vedere presto il tuo romanzo prossimo, ma capisco che per ottenere un ottimo lavoro, l'autrice o autore che sia richiede anche il tempo necessario per raggiungere un livello ottimlae come il tuo!
    Per questo non posso fare altro che augurarti buona fortuna per i romanzi a venire e, mi raccomando, non stancarti troppo! ^-^
    Sei stato eccellente! Complimentissimi!
    Un bacio! ❤

  6. ciao volevo farti i miei complimenti, il tuo libro è fantastico mi ha procurato tantissime emozioni, mi ha fatto arrabbiare, piangere, emozionare. Non sto nella pelle per leggere il secondo volume. Ancora tantissimi complimenti

  7. OMG! il primo capitolo è bellissimo! 0.o e Xewon mi sta talmente antipatico… perché deve trattare Shyar così male? c’è un motivo preciso?

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